Pubblico impiego – Sentenza UX del 16 luglio 2020 – La Corte di Giustizia si pronuncia riconoscendo i diritti dei giudici di pace (e di tutti i giudici onorari)
La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza UX (per visualizzare la sentenza: clicca qui), resa nel procedimento C-658/18 e depositata il 16 luglio 2020, si è pronunciata sulle questioni pregiudiziali proposte dal Giudice di pace di Bologna in merito alla natura del rapporto dei Giudici di pace.
La posizione dei Giudici di pace – ma di tutti i giudici onorari, del resto – è già stata affrontata su questo sito (clicca qui), sia con riferimento alla giurisprudenza nazionale che alla pendenza di questioni pregiudiziali avanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, nonché al ruolo avuto dal collegio difensivo del quale fa parte questo studio, al cui comunicato ufficiale si rinvia (clicca qui). Ora la Corte di Lussemburgo si è pronunciata con una sentenza che, sicuramente, comporterà uno notevole passo avanti nel percorso verso una corretta definizione del trattamento dei giudici onorari e, riteniamo, la nascita di un loro specifico ruolo all’interno della magistratura.
In primo luogo, con la sentenza qui in commento, la Corte ha statuito che i Giudici di pace, considerato il ruolo dagli stessi assegnato dalla normativa nazionale, vanno considerati a tutti gli effetti “giurisdizione nazionale” e possono quindi sollevare questioni pregiudiziali avanti alla Corte di giustizia (sul punto va del resto ricordato che una delle più importanti pronunce della CGUE, la sentenza Costa/Enel, del 15 luglio 1964, in causa C-6/64, era stata resa su rimessione di un Giudice conciliatore di Torino, ovvero la figura poi sostituita dal Giudice di pace).
Viene innanzi tutto chiarita l’eccezione che era stata sollevata dal Governo italiano, il quale sosteneva che l’ordinanza di rimessione, concernendo innanzi tutto la richiesta di definizione della natura del rapporto del Giudice di pace, fosse inammissibile poiché concerneva un interesse personale del giudice rimettente. Qui la Corte è tranchant, ricordando che più volte aveva esaminato “senza sollevare dubbi in merito all’indipendenza dei giudici”, casi rimessi dalle magistrature nazionali che riguardavano problematiche attinenti, sotto vari aspetti, lo status di altri giudici (sentenze del 13 giugno 2017, Florescu e a., C 258/14, EU:C:2017:448; del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C 64/16, EU:C:2018:117; del 7 febbraio 2019, Escribano Vindel, C 49/18, EU:C:2019:106, nonché del 19 novembre 2019, A.K. E a. [Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema], C 585/18, C 624/18 e C 625/18, EU:C:2019:982: v. punto 56).
Poiché la definizione della natura del rapporto era strumentale all’oggetto della causa principale pendente in sede nazionale e riguardante il pagamento di un mese di ferie del 2018 (domanda domanda appositamente contenuta al fine di non superare la competenza del Giudice di pace) il Governo aveva altresì eccepito che ciò costituisse un escamotage per bypassare la ordinaria competenza del Giudice del lavoro italiano, sostenendo ancora la natura strumentale dell’ordinanza di rimessione e la sua conseguente inammissibilità.
Anche qui l’eccezione sollevata dal Governo italiano viene superata. Premesso che la valutazione sulla ricevibilità della domanda spetta al giudice rimettente, la Corte ritiene infondata l’eccezione sul rilievo che la domanda afferiva non alla mera rivendicazione del pagamento di una somma a titolo di retribuzione, bensì di risarcimento del danno nei confronti dello Stato italiano per violazione della Direttiva 2003/88 che stabilisce “prescrizioni minime di sicurezza e salute in materia di organizzazione del lavoro”, con conseguente competenza del giudice per valore e materia (punti 59-64).
Superati questi scogli iniziali (ed altri, di natura formale per i quali si rinvia ai punti 66-71 della sentenza), la Corte entra quindi nel merito.
Il primo problema che andava affrontato era dunque quello della natura del rapporto dei Giudici di pace, posto che nella Direttiva 2003/88, dove si disciplina il diritto alle ferie, come in tutte le altre Direttive in materia di lavoro, si fa riferimento espresso al concetto di “lavoratore”. Si trattava dunque di verificare se tale è il Giudice di pace, posto che l’ordinamento nazionale insiste (ed il Governo ha continuato a sostenere avanti alla Corte) nel definire come “onorario” l’incarico loro affidato il che, se fosse vero, avrebbe di conseguenza escluso il diritto alle ferie.
La risposta è agevole, poiché la giurisprudenza della Corte sul concetto di lavoratore è ormai stata più volte affermata (si rinvia ai punti da 79 a 113). In estrema sintesi, la giurisprudenza più costante della Corte afferma che “la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in cambio delle quali percepisca una retribuzione (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a., C 147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata)” (punto 74 della sentenza). Poiché il magistrato onorario risponde a tali requisiti, va ricondotto alla natura di lavoratore subordinato.
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha infatti da tempo chiarito il concetto di lavoratore subordinato (cui consegue l’applicazione delle direttive sociali europee e, a cascata, di tutti i diritti previsti dall’ordinamento nazionale in favore dei lavoratori subordinati) con riferimento all’art. 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che tratta della libertà di stabilimento.
La Corte di Lussemburgo, si era occupata della questione sin dalla sentenza Raad van Beroep (causa C-75/63) nella quale il giudice olandese rimettente aveva esposto alla Corte il caso di una lavoratrice che non aveva «diritto alle prestazioni durante la loro permanenza all’estero, a meno che non siano stati autorizzati a recarvisi in convalescenza, secondo le modalità all’uopo prescritte».
La Corte aveva osservato che: «A differenza dei trattati internazionali, i regolamenti adottati dalla Comunità non si limitano a coordinare, bensì integrano i vari ordinamenti interni. Il Regolamento n. 3 pone quindi in essere norme autonome di diritto comunitario e contiene nozioni giuridiche di significato specifico. Come si evince dal contesto del Trattato C.E.E., l’articolo 51 di questo tratta della previdenza sociale come di un aspetto della libera circolazione dei lavoratori. Questi principi impongono di concludere che la nozione di “lavoratore subordinato” di cui all’articolo 4, primo comma, del Regolamento n. 3 “ha un proprio contenuto europeo che va determinato in base alle esigenze della libera circolazione dei lavoratori” e che può completare la nozione di lavoratore subordinato accolta nei vari ordinamenti nazionali o supplire alla sua eventuale mancanza negli ordinamenti stessi» e conclude che «1) la nozione di “lavoratore subordinato o assimilato” contenuta nel Regolamento n. 3 del Consiglio della C.E.E., relativo alla “sicurezza sociale” dei lavoratori migranti (G.U. del 16 dicembre 1958, pag. 561 e segg.) ha contenuto comunitario, alla stessa stregua del termine “lavoratore” di cui agli articoli da 48 a 51 del Trattato C.E.E. 2) a) In questa nozione rientrano coloro i quali, già obbligatoriamente assicurati presso la previdenza sociale in qualità di “lavoratori”, sono stati, in tale loro qualità e in vista dell’eventualità che riprendano un’attività subordinata, ammessi a contrarre un’assicurazione volontaria di diritto interno retta da principi analoghi a quelli dell’assicurazione obbligatoria. b) Spetta al giudice nazionale di valutare caso per caso se le persone cui questo vantaggio è stato concesso rientrino fra quelle indicate sub a)».
Il percorso interpretativo è proseguito negli anni e le relative pronunce sono state rese in contenziosi che avevano quale oggetto l’applicazione delle direttive o dei trattati dell’Unione europea.
Tra le tante ricordiamo:
– libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE) nella sentenza Haralambidis (del 10.09.14, C-270/13, EU:C:2014:2185, punti da 26 in poi);
– ferie (direttiva 88 del 2003) nella sentenza Fenoll (del 26 marzo 2015, C-316/13, EU:C:2015:200; punto 27 e ss.);
– diritto alla consultazione e all’informazione dei lavoratori (Direttiva 14 del 2002) sentenza Association di mediation (sentenza del 15 gennaio 2014, C-176/12, EU:C:2014:2);
– organizzazione dell’orario di lavoro (Direttiva 391 del 1989) Union syndicale Solidaires Isère (del 14.10.10, C428/09, EU:C:2010:612, punto 28);
– lavoro a tempo parziale (Direttiva 83 del 1998) ai fini della percezione del diritto alla pensione di vecchiaia (Direttiva 23 del 1998) sentenza O’Brien (La sentenza è del 1° marzo 2012, in causa C-393/10, EU:C:2012:110 ed è particolarmente rilevante nella questione qui esaminata, in quanto tratta dei recorders inglesi che svolgono funzioni di giudice part time che si erano visti negare dai giudici inglesi il diritto al trattamento pensionistico, poi riconosciuto dalla Corte UE. La stessa vicenda è stata oggetto dell’ulteriore sentenza del 7 novembre 2018 C-432/17, EU:C:2018:879, la quale integra la precedente pronuncia disponendo che «i periodi d’anzianità precedenti la scadenza del termine di trasposizione della direttiva 97/81, come modificata dalla direttiva 98/23, rilevano ai fini della determinazione dei diritti alla pensione di vecchiaia.»).
Come si legge nella sentenza Fenoll: «25. Ne risulta che, ai fini dell’applicazione della direttiva 2003/88, la nozione di «lavoratore» non può essere interpretata in vario modo, con riferimento agli ordinamenti nazionali, ma ha una portata autonoma propria del diritto dell’Unione (sentenza Union syndicale Solidaires Isère, C428/09, EU:C:2010:612, punto 28)».
E, più recentemente, nella sentenza AGET Iraklis, della Grande sezione della Corte di giustizia del 21 dicembre 201629, si afferma: “Poiché dunque l’Unione non ha soltanto una finalità economica ma anche una finalità sociale, i diritti che derivano dalle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica sociale tra i quali figurano in particolare, come risulta dall’art. 151, primo comma, TFUE, la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione” (punto 77).
L’applicazione di tali principi necessitava della definizione di lavoratore, e tanto, come si è visto, è stato fatto nelle sentenze che si sono citate, con tutti i conseguenti riflessi nel caso di lavoratori definiti dalle normative nazionali come destinatari di incarichi “onorari”.
Tanto era già successo nella vicenda della sentenza Haralambidis che si è citata, dove era stato nominato dirigente dell’autorità portuale di Brindisi un cittadino greco che aveva vinto il relativo concorso. Tale nomina era stata impugnata avanti al Tar che la aveva annullata poiché si trattava di un cittadino straniero. Il Consiglio di Stato, investito dell’appello, si era rivolto alla Corte di giustizia chiedendo chiarimenti e, nel corso del procedimento avanti alla Corte si era sostenuta l’inapplicabilità della normativa sulla libera circolazione di lavoratori poiché la carica di dirigente dell’autorità portuale sarebbe consistita in un incarico onorario. La Corte, sulla base dei principi che si sono visti, ha invece stabilito la natura di lavoro subordinato dirigente dell’autorità portuale, come ha fatto, appunto, per i giudici di pace.
Più in particolare, poi la Corte, con riferimento alla applicabilità della Direttiva 1999/70 sui contratti a tempo determinato, osserva infatti (punto 118) che “In tale contesto, la mera circostanza che un’attività professionale, il cui esercizio procura un beneficio materiale, sia qualificata come «onoraria» in base al diritto nazionale è priva di rilevanza, ai fini dell’applicabilità dell’accordo quadro, pena il mettere seriamente in questione l’effetto utile della direttiva 1999/70 e quello dell’accordo quadro, nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti (v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C‑307/05, EU:C:2007:509, punto 29, e del 1º marzo 2012, O’Brien, C‑393/10, EU:C:2012:110, punto 36)“, così facendo cadere il presupposto fondamentale che è stato usato dai giudici nazionali per negare ogni diritto retributivo e previdenziale a tutti i giudici onorari.
La terza ed ultima questione affrontata dalla Corte riguarda infine la denunciata discriminazione tra i giudici cd. “togati”, ovvero quelli di ruolo che hanno superato il relativo concorso di accesso alla magistratura (punti da 135 in poi) che hanno diritto alle ferie e giudici “onorari” che invece non ne possono usufruire in quanto impiegati a tempo determinato.
Qui la questione era più delicata, perché poteva involgere una valutazione sulla possibile comparazione tra le due figure con conseguente, problematica ricaduta a livello nazionale, dove l’equiparazione tra le due figure troverebbe inevitabilmente una netta opposizione da parte della giurisdizione italiana, perché metterebbe in dubbio la primazia del concorso per l’accesso ai pubblici incarichi, per di più ad uno delicato come quello in magistratura. Tanto che, il Consiglio di Stato, nel parere n. 854 del 2017, reso su richiesta del Governo in merito ad una possibile stabilizzazione del giudici di pace, aveva ipotizzato la sollevazioni dei “controlimiti”, prefigurando addirittura la denuncia dei trattati di adesione all’Unione europea da parte dell’Italia laddove il relativo ordinamento ponesse nel nulla il principio del concorso.
Poiché il problema è ben noto alla Corte di Lussemburgo, la sentenza sul punto è chiara nel rilevare la discriminazione denunciata, ma precisando anche (punti 146 e 147) che vi sono ben precise differenze tra le due tipologie di magistrati e che la presenza dell’obbligo del concorso per l’accesso ai pubblici impieghi può costituire (punto 156), in forza del margine di discrezionalità di cui dispongono gli stati membri, un dato di fatto che differenzia le “condizioni di accesso e di impiego applicabili” alle due categorie.
“Tuttavia“, prosegue la Corte (punto 157) “nonostante tale margine di discrezionalità, l’applicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento sfavorevole dei lavoratori a tempo determinato sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale (sentenza del 20 settembre 2018, Motter, C‑466/17, EU:C:2018:758, punto 44)“.
Come si vede, la Corte condivide pienamente l’impostazione che al contenzioso aveva sin dall’inizio dato il collegio difensivo di cui fa parte questo studio: no alla pretesa, sostanzialmente allo stato insostenibile, di un’equiparazione totale tra magistrati onorari e magistrati di ruolo o togati. Sì, invece, al riconoscimento in favore dei primi di una rapporto di lavoro ordinario, con conseguente diritto ad una retribuzione adeguata la lavoro svolto (ex art. 36 Costituzione) e ad una copertura contributiva adeguata (art. 38 Costituzione): la soluzione migliore potrebbe essere quindi quella di prevedere un ruolo specifico per i magistrati “onorari” all’interno del corpo giudiziario.
La sentenza, dunque è chiarissima: ora si dovranno riconoscere ai giudici “onorari ” (chiamiamoli ancora così, per comodità) tutti i diritti spettanti ai lavoratori. In tal senso si sta muovendo il collegio difensivo che già ha dato avvio da tempo a decine e decine di cause ed altre sono pronte da presentare (gli interessati attendevano appunto l’esito del giudizio conclusosi con la sentenza UX).
Occorre però che anche tutti gli altri giudici che ancora non hanno dato mandato per agire in giudizio, si attivino nel dare avvio ai contenziosi, poiché non si vuole che succeda come è accaduto con la vicenda della scuola: vinta la causa in Corte europea con la sentenza Mascolo, che ha dichiarato l’illegittimità del sistema di reclutamento dei docenti scolastici e dei contratti a termine con gli stessi reiteratamente stipulati e dove la gestione a livello nazionale è stata di fatto lasciata al Governo (v. la legge sulla “Buona scuola” del Governo Renzi del 2015). Con la conseguenza che le indicazioni della Corte di Lussemburgo sono state disattese, tanto che il numero attuale dei precari tra i docenti italiani è addirittura ad oggi superiore rispetto al 2015!
Occorre dunque stare attenti ed evitare che la applicazione pratica dei principi stabiliti dalla Corte non venga lasciata solo nelle mani delle varie organizzazioni che stanno nascendo a tutela dei giudici “onorari” e che andranno a trattare con il Governo per concordare la nuova disciplina, ma supportare la loro indispensabile attività di mediazione con il maggior numero di cause su tutto il territorio nazionale, poiché l’esecuzione della sentenza della Corte europea rimanga sotto il controllo dei giudici che, a questo punto, sono vincolati dai principi stabiliti a Lussemburgo e non più soggetti alle pressioni del potere esecutivo e legislativo che si sono sempre opposti al riconoscimento dei diritti spettanti ai giudici “onorari”.
Sul sito del collegio difensivo (www.dimago.it: clicca qui) tutti i giudici onorari potranno trovare le indicazioni ed i preventivi di costo per aderire alle azioni giudiziarie che porteranno al riconoscimento di tutti i diritti sino ad ora negati ad una parte consistente ed essenziale al buon funzionamento della macchina della giustizia in Italia.
Il collegio promuove anche tre giorni di video conferenze (il 27, 28 e 30 luglio 2020, dalle 17,00 alle 19,00), nel corso delle quali saranno presenti i componenti del collegio, alle quali tutti i giudici possono partecipare e finalizzate a fornire tutti i chiarimenti necessari: le indicazioni sono sul sito del collegio.