Mobbing – Consiglio di Stato e Cassazione

23 Mag 2021

“Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 591 del 19.1.2021, afferma che l’approccio al mobbing va effettuato con cautela, senza sposare acriticamente la prospettazione del lavoratore, ma valutando anche la sua inidoneità soggettiva ad adattarsi alla struttura ove opera”

Il Consiglio di Stato, con la sentenza 591 del 19.01.21, esaminando la posizione di un poliziotto carcerario, ha escluso la sussistenza di un mobbing, osservando che da un esame imparziale dei fatti «è possibile che i comportamenti del datore di lavoro (cui siano imputabili in ipotesi le condotte illecite di altri dipendenti) non siano tali da provocare significative sofferenze e disagi, se non in personalità dotate di una sensibilità esasperata o addirittura patologica; dall’altro, che gli atti relativi siano di per sé ragionevoli e giustificati, in quanto indotti da comportamenti reprensibili dello stesso interessato, ovvero da sue carenze sul piano lavorativo, o da difficoltà caratteriali».

Tale posizione non è dissimile a quella assunta dal giudice di legittimità (Cass. 20967 del 29.12.2020), il quale afferma che: «La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’elemento qualificante del mobbing, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell’illegittimità dei singoli atti bensì nell’intento persecutorio che li unifica, sicché la legittimità dei provvedimenti può rilevare indirettamente perché, in difetto di elementi probatori di segno contrario, sintomatica dell’assenza dell’elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata; parimenti la conflittualità delle relazioni personali all’interno dell’ufficio, che impone al datore di lavoro di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, può essere apprezzata dal giudice per escludere che i provvedimenti siano stati adottati al solo fine di mortificare la personalità e la dignità del lavoratore (Cass., n. 26684 del 2017).

È una posizione che conferma ancora una volta l’estrema difficoltà di applicazione dell’istituto e della estrema soggettività nella valutazione della sussistenza dell’intento persecutorio.

L’esistenza del mobbing va dunque valutata con la massima attenzione, poiché la dimostrazione dell’intento volontario della persecuzione denunciata dal lavoratore risulta molto difficile e deve essere accompagnata da elementi certi e concreti, che raramente ricorrono o possono essere dimostrati dal lavoratore.


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