La Pandemia del Covid-19 e le sue conseguenze
Covid 19 – Alcune brevi considerazioni su cosa fare (e su cosa non fare)
Premessa
L’emergenza conseguente all’inaspettata irruzione nell’occidente della pandemia del Covid-19, ha sconvolto la vita di tutti. Dapprima si è insediata nel nostro paese (ma, si dice, proveniente dalla Germania) causando i poco piacevoli effetti collaterali che hanno visto il resto del mondo guardare gli italiani come gli untori da tenere lontano.
Ma dopo pochi giorni hanno dovuto tutti ricredersi e l’Italia si è trasformata nell’esempio da seguire per la determinazione e la rigidezza con la quale sono state adottate le misure di contenimento attraverso la restrizione della mobilità dei singoli che, ad oggi, sembra essere stata la principale misura che ha evitato l’aggravarsi della situazione.
Il Governo italiano, dopo una prima sottovalutazione del problema, ha dato avvio alla gestazione normativa sul fenomeno epidemiologico con la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, provvedimento, si è sottolineato da più parti, non previsto dalla nostra Costituzione, dove è regolato solamente lo Stato di guerra, che sono le Camere a dover deliberare, conferendo poi al Governo i poteri necessari (art. 78 Cost.): dunque, si sarebbe trattato di un provvedimento illegittimo e, addirittura anticostituzionale.
A ben vedere, invece, la dichiarazione di emergenza fatta con la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, adottata a seguito della dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus (PHEIC) dell’Organizzazione mondiale della sanità in data 30 gennaio 2020, non è affatto priva di copertura legislativa, essendo il provvedimento previsto dal Codice della protezione civile (art. 24 in relazione all’ipotesi di cui all’art. 7, lett. c) D.lgs. n. 1 del 2018[1]). In ogni caso i provvedimenti hanno anche una copertura costituzionale negli artt. 118 (principio di sussidiarietà) e 120 (potere del Governo di sostituirsi a regioni, province e comuni nell’adozione di provvedimenti in caso “di pericolo grave per l’incolumità e la salute pubblica”, come sottolineato dal TAR Calabria con la sentenza 841/2020 che ha annullato l’ordinanza della Regione Calabria che autorizzava la vendita a tavolino nei bar perché in contrasto con il DPCM 19/2020).
Dopo questo primo provvedimento, nella pressoché totale assenza di interventi da parte dell’Unione europea, nonostante l’esistenza di una disciplina comunitaria sulle emergenze, anche epidemiologiche[2], il Governo ha poi iniziato a muoversi in concreto solo con il c.d. decreto legge “pilastro” del 23 febbraio 2020, prontamente convertito in L. 5 marzo 2020 n. 13, che ha dato piena copertura legislativa ad una successiva, intensa attività normativa dell’esecutivo[3] garantendo solo da allora una gestione «in tempo reale» dell’emergenza[4], adattando gli interventi all’evolversi del fenomeno ormai pandemico. Gestione incrinata solamente da iniziative talvolta estemporanee riconducibili soprattutto ad un’esigenza di visibilità dei «governatori» regionali[5].
E non vi è dubbio, quantomeno allo stato dei fatti, che le misure via via più drastiche adottate con i Decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri, poi confermate dalla successiva conversione in legge, abbiano concorso al contenimento della pandemia che, diversamente, avrebbe potuto avere esiti disastrosi. Soprattutto, a detta di tutti, per l’insufficienza del servizio sanitario nazionale nel suo complesso a reggere un aggravamento della situazione di emergenza.
Non è un caso che tutti gli altri paesi, una volta colpiti anch’essi dalla pandemia, abbiano attinto a piene mani all’esempio italiano.
Sono state sospese tutte le attività, industriali e commerciali, ad esclusione di quelle che erogano servizi di pubblica utilità, nonché servizi essenziali di cui alla legge 12 giugno 1990, n. 146. Restavano comunque consentite quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare, ovvero con lavoro agile, ex art. 18 e segg. legge 81/2017 (cd. jobs act), ovvero ancora, più comunemente, ormai, denominato “smart working”.
Ma soprattutto, con Il DPCM 9 marzo 2020 ha applicato all’intero territorio nazionale le rigorose misure del DPCM del giorno prima (evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori comunali ed all’interno dei medesimi, se non per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità, ovvero per motivi di salute) vietando “ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico”.
Insomma, un vero e proprio coprifuoco, visto che veniva vietato “ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori comunali ed all’interno dei medesimi”.
E queste, soprattutto, sono state le misure che hanno dato l’avvio alle contestazioni più severe, insieme alla richiesta incessante, dopo i primi periodi di “arresti domiciliari”, di ripresa incondizionata delle attività.
Questo secondo aspetto è stato cavalcato più dalle opposizioni parlamentari, che hanno tentato in questo modo di contrastare la visibilità e il consenso del Governo e soprattutto del “premier”, tentando di colmare la discesa di consensi conseguente al passaggio in seconda linea di altri argomenti che, a fronte dell’emergenza, perdevano “appeal” di fronte al disastro epidemiologico. E se certi toni sono sembrati sicuramente fuori dalle righe, va comunque detto che sono pur sempre rimasti all’interno delle regole della democrazia, ancorché di ben altro carattere sono state le posizioni, ad esempio di Rui Rio, capo dell’opposizione in Portogallo che così si è rivolto al capo del Governo in carica: “La minaccia che dobbiamo combattere esige unità, solidarietà, senso di responsabilità – ha detto Rui Rio in Parlamento -. Per me, in questo momento, il governo non è l’espressione di un partito avversario, ma la guida dell’intera nazione che tutti abbiamo il dovere di aiutare. Non parliamo più di opposizione, ma di collaborazione. Signor primo ministro Antonio Costa, conti sul nostro aiuto. Le auguriamo coraggio, nervi d’acciaio e buona fortuna perché la sua fortuna è la nostra fortuna”. Ma si sa, lo stile non è una prerogativa di molti politici italiani e di ciò non può che farsene colpa chi li segue.
Ma, al di là di tale giudizio, del tutto intollerabili sono invece state le esternazioni, attraverso roboanti video pubblicati sui media, di soggetti non certo di primo pelo e, spiace rilevarlo, tra questi non pochi avvocati, i quali si sono gettati ad accusare il Governo di avere violato la Costituzione[6] e di avere costretto agli “arresti domiciliari” i cittadini ed invitando il “popolo” a ribellarsi promuovendo azioni giudiziarie, guarda caso, dagli stessi proposte, nei confronti del Governo e, financo, di Stati esteri.
Tali azioni erano finalizzate, a detta degli iniziatori, ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti e all’ottenimento del risarcimento dei danni, peraltro neppure specificati.
Ora, è palese che il Governo, a fronte di una situazione del tutto imprevedibile si sia mosso con un certo ritardo rispetto al manifestarsi della gravità delle notizie che arrivavano dalla Cina, ma altrettanto vero è che anche tutti gli altri paesi hanno tenuto atteggiamento analogo. Inoltre, non può non riconoscersi che non appena la situazione di gravità si è palesata in modo inequivocabile, gli interventi siano stati decisi, a volte forse sovrabbondanti, ma comunque certamente non inadeguati al pericolo cui è stata esposta tutta la popolazione.
Insomma, non pare neppure che sia travalicato il principio di proporzionalità e, ove ciò fosse in ipotesi accaduto, certamente non può non prendersi atto che ciò è avvenuto non solo con le migliori intenzioni ma soprattutto con misure in ogni caso strettamente finalizzate alla tutela della salute pubblica.
Altro discorso, ovviamente, è il giudizio sugli interventi aggiuntivi di sostegno: si parla qui, ad esempio, ma non certo esaustivamente, dei finanziamenti promessi agli imprenditori, naufragati nella burocrazia delle banche (visto che il Governo ha promesso soldi che non aveva e certo non basta richiedere un “atto d’amore” alle banche), alla mancata approvazione della Cassa integrazione (i lavoratori sospesi sono ancora in attesa delle relative erogazioni) o, ancora, agli approvvigionamenti dei mezzi di protezione (si pensi solo alla vicenda delle mascherine, tutta da chiarire, anche da parte della magistratura). E si potrebbe proseguire a lungo.
Per non parlare poi, cosa di questi giorni, dei poveri commercianti milanesi che manifestavano pacificamente, debitamente distanziati e con regolare mascherina e che sono visti multare per 400,00 euro ciascuno per un assembramento, quando la sera stessa la “movida” sui navigli, con centinaia di persone, la maggior parte senza neppure la mascherina, vis a vis a bere l’aperitivo, non ha visto l’intervento di neppure un vigile. Di questo ed altro, ovviamente, il Governo e il parlamento, nonché gli amministratori locali interessati, dovranno rispondere e certamente ciò avverrà, a tempo debito e nella sede deputata, ovvero alle prossime elezioni.
Semmai ci permettiamo di evidenziare quello che costituisce, ad avviso dei componenti di questo studio, uno dei pochi aspetti che invece meriterebbero di esser approfonditi sotto il profilo delle responsabilità, ovvero quelle connesse alla gestione del servizio sanitario, che ha visto lasciare sul campo troppi caduti che si sarebbero potuti evitare senza necessità di interventi miracolosi ma con un minimo di sangue freddo e di semplice ragionevolezza.
Le scelte sciagurate consistenti nel mandare il personale medico e gli operatori sanitari senza protezioni, senza indicazioni, con direttive che chiunque, anche non esperto in scienze mediche, non può che ritenere gravemente colpevoli (si pensi alla promiscuità dei reparti Covid con quelli ordinari negli ospedali, alla gestione delle Rsa, alla mancanza dei presidi essenziali, ecc.) merita certamente di essere perseguito e con determinazione e durezza, ove se ne ravvisino le colpe e gli eventuali danni connessi.